martedì 21 giugno 2011

Cars 2 di John Lasseter e Brad Lewis

Come ogni anno che si rispetti arriva nelle sale un nuovo, coloratissimo film della Pixar Animation Studios. Anche questa volta, dopo “Toy Story 3”, si tratta di un ritorno: “Cars 2” (in 3D, purtroppo), sequel di “Cars – Motori ruggenti” del 2006 diretto da John Lasseter, cui si aggiunge come co-regista Brad Lewis (produttore di “Ratatouille”). Partiamo col dire che i due episodi sono molto diversi; non solo perché sono trascorsi cinque anni (un periodo notevole per il mondo dell’animazione) dall’esordio al cinema delle funamboliche auto magiche. Innanzitutto le location: dalla tranquilla, bambinesca e desertica Radiator Springs si è passati a un tour de force internazionale che abbraccia Tokio, Parigi, Londra e Italia (in un’immaginaria località marittima di nome Porto Corsa, ispirata per il look da Portofino). Al soggetto – classico Pixar – dell’amicizia e a quello tematico delle corse d’auto, si aggiunge un nuovo argomento: lo spionaggio internazionale; “non una parodia, ma vero spionaggio” ci tiene a precisare Lasseter. In effetti, l’incipit della pellicola lascia un po’ spiazzati perché nella sequenza vediamo una specie di James Bond gommato di nome Finn McMissile, un nuovo personaggio che affronta una delicata missione in mare aperto sfoderando lanciamissili e gadget prodigiosi. Quando Saetta McQueen – reduce dalla quarta vittoria in Piston Cup – è invitato dall’ex-magnate del petrolio (ora convertito in veicolo elettrico) Miles Axlerod al Gran Premio Mondiale, decide di arruolare in squadra il fidato Carl “Cricchetto” Attrezzi, che alla presentazione in Giappone viene scambiato per un’abilissima spia, vicenda che dà il là a un bizzarro intrigo internazionale. Ed è proprio Cricchetto con la sua simpatia il mattatore di “Cars 2”: si innamora della new entry Holley Shiftwell e rafforza il rapporto d’affetto con Saetta, che a sua volta dovrà vedersela con l’antipatico napoletano Francesco Bernulli, un campione di Formula Racers rappresentato in maniera poco politically correct come “il tipico smargiasso italiano”. Troppo caotico e cosmopolita, l’ultimo Pixar non riesce a graffiare come nelle ultime uscite (WALL-E, Up, Toy Story 3), in altre parole non si dimostra altrettanto abile nel toccare le corde emotive dello spettatore; latita quel puro sapore di commozione cui ci siamo abituati gustando multiformi scene d’amore e d’amicizia, di altruismo e lealtà, scarseggiano quei valori sui quali storicamente poggia l’impianto filmico della casa cinematografica californiana. Certo, dal punto di vista tecnico non si discute: un’innovazione continua dove luoghi, ambienti e oggetti sono ricostruiti meticolosamente con un gusto vivace, le riprese di corse e inseguimenti diventano più spettacolari, l’atmosfera generale è oltremodo dinamica. Però, manca appunto un vero baricentro, non c’è un focus partecipativo, e questo toglie semplicità dunque efficacia alla narrazione. Nella storia trova posto (anzi, è il fulcro del complotto) l’attualità con una riflessione “Green” circa le energie rinnovabili e l’utilizzo di uno speciale carburante “pulito” di nome Allinol, la cui parabola sembra esprimere un parere piuttosto critico e pessimista riguardo all’argomento. Detto questo, non fatevi intimorire dalle critiche: sono anche frutto delle grandi attese maturate sulla base dell’eccellenza artistica dei ragazzi terribili di Emeryville; il film è godibile e contiene diversi momenti divertenti, quindi consigliato per consumare in leggerezza una delle prossime serate estive lontano dall’afa. Questa volta, però, potete lasciare a casa i Kleenex.

Voto: 6

venerdì 17 giugno 2011

Drive di Nicolas Winding Refn

Stuntman part time, meccanico di giorno e autista per rapine di notte; un uomo (Ryan Gosling) di poche parole e parecchio sangue freddo al volante è il protagonista di "Drive" (dall'omonimo noir di James Sallis), nona pellicola del quarantenne danese Nicolas Winding Refn, che ha conquistato il Premio per la Miglior Regia al 64° Festival di Cannes.

Ambientato nella multietnica Los Angeles, il film parte spingendo a tavoletta con la lunga sequenza prima dei titoli di testa di un furto-fuga-inseguimento, scanditi da musiche synth martellanti targate Chromatics (album "Night Drive", ndr) dove il sobrio conducente avvolto nel suo bomber feticcio tiene a bada la tensione con il rombo del propulsore in uno degli incipit cinematografici più adrenalinici degli ultimi anni. Minuti carichi di tensione che offrono uno spettacolo eccitante, creato prevalentemente con l'uso suggestivo del sonoro: il ticchettio delle lancette, i rombi di motore, le sirene della polizia, la rotazione vorticosa delle pale di un elicottero, la voce diegetica dalla radio degli agenti e più di tutto l'ansiogeno brano "Tick Of The Clock" dal già menzionato disco.

Per il guidatore taciturno sembra aprirsi un futuro da pilota grazie a Shannon (Bryan Cranston di "Breaking Bad") e all'investimento di una coppia di criminali (Bernie Rose e Nino, rispettivamente Albert Brooks e Ron Perlman), ma prima di iniziare a calcare i circuiti si invaghisce della dolce vicina di casa Irene (Carey Mulligan). Il Driver senza nome è freddo e solitario ma ben presto si lega alla donna, e per aiutare suo marito Standard (Oscar Isaac) appena uscito da galera, finisce in una brutta situazione che scatena il suo vigore cruento in un crescendo di violenza, esplosa fragorosamente nelle scene del motel e dell'ascensore - dove ancora una volta Refn lavora persuadendo con l'ausilio del suono, lasciando solo immaginare al pubblico la ferocia assassina. In quest'ultima sequenza c'è una sintesi del film: Driver è intrappolato nella cabina insieme a Irene e ad un killer con il colpo in canna; il tempo si dilata, c'è un bacio appassionato mentre il cavaliere-pilota fa scudo con il corpo e scocca il primo di una serie di brutali fendenti raggiungendo un climax imperioso.

Proprio la doppia personalità rappresenta l'aspetto più interessante dell'uomo; fa emergere il contrasto tra il quieto ragazzo che si sporca le mani in officina per pochi dollari e la furia nervosa di uno psicopatico che in alcuni momenti non sfigurerebbe al cospetto dello schizzato protagonista di "Taxi Driver". Il regista sembra voler tratteggiare il profilo di un nuovo supereroe metropolitano, un oscuro giustiziere buono che invece del mantello indossa come in un rituale guanti da guida e giubbotto stampato con uno scorpione. Animale amante degli angoli bui e predatore di topi (di fogna), dettaglio iconografico su cui indugiano allusivamente le inquadrature.

Riprese dinamiche che proiettano emotivamente lo spettatore dentro la storia e lo deliziano con angolazioni che vanno a creare sorprendenti composizioni visive e con altri brillanti movimenti di macchina, oltre all'uso quasi straniante del montaggio ritmico e del ralenti a modellare un linguaggio filmico poderoso e in sincrono con le trascinanti musiche di Cliff Martinez.

Gosling/Driver, stunt di se stesso (emblamatico il momento in cui indossa per la seconda volta la maschera), è impassibile nella sua faccia imbalsamata da giocatore di poker; di rado regala un sorriso e si esprime attraverso codici non verbali come il gesto ripetuto - spia di un pieno di aggressività - dello stringere i pugni. La sua recitazione è notevole tanto quanto quella dei comprimari, su cui spiccano i due cattivi: uno spietato e sarcastico ("ho le mani sporche anch'io", "dai una pulita in giro prima di aprire la pizzeria") Brooks e un Perlman sopra le righe che deve ringraziare (?) madre natura per avergli fornito un volto da perfetto figlio di puttana.

Le caratteristiche della vicenda (lo sviluppo della furia dell'individuo difronte al pericolo, la storia d'amore, la rapina finita male) non sono originali ma Refn slalomeggia con una certa maestria tra gli ostacoli del déjà vuconcentrando la camera sulla contrapposizione mitezza vs. aggressività dell'imperturbabile e imprendibile (Walter Hill docet) "driver". La forza universale del film sta nel suo essere contemporaneo, nella capacità del regista di offrire un trattamento coinvolgente (le panoramiche sullo sfondo tentacolare di LA, l'uso puntuale della colonna sonora, il graphic design dei titoli), nel rivisitare con personalità l'ordinario script di partenza facendone un piccolo, cupo manifesto urbano di ultima generazione.

Voto: 8