Stuntman part time, meccanico di giorno e autista per rapine di notte; un uomo (Ryan Gosling) di poche parole e parecchio sangue freddo al volante è il protagonista di "Drive" (dall'omonimo noir di James Sallis), nona pellicola del quarantenne danese Nicolas Winding Refn, che ha conquistato il Premio per la Miglior Regia al 64° Festival di Cannes.
Ambientato nella multietnica Los Angeles, il film parte spingendo a tavoletta con la lunga sequenza prima dei titoli di testa di un furto-fuga-inseguimento, scanditi da musiche synth martellanti targate Chromatics (album "Night Drive", ndr) dove il sobrio conducente avvolto nel suo bomber feticcio tiene a bada la tensione con il rombo del propulsore in uno degli incipit cinematografici più adrenalinici degli ultimi anni. Minuti carichi di tensione che offrono uno spettacolo eccitante, creato prevalentemente con l'uso suggestivo del sonoro: il ticchettio delle lancette, i rombi di motore, le sirene della polizia, la rotazione vorticosa delle pale di un elicottero, la voce diegetica dalla radio degli agenti e più di tutto l'ansiogeno brano "Tick Of The Clock" dal già menzionato disco.
Per il guidatore taciturno sembra aprirsi un futuro da pilota grazie a Shannon (Bryan Cranston di "Breaking Bad") e all'investimento di una coppia di criminali (Bernie Rose e Nino, rispettivamente Albert Brooks e Ron Perlman), ma prima di iniziare a calcare i circuiti si invaghisce della dolce vicina di casa Irene (Carey Mulligan). Il Driver senza nome è freddo e solitario ma ben presto si lega alla donna, e per aiutare suo marito Standard (Oscar Isaac) appena uscito da galera, finisce in una brutta situazione che scatena il suo vigore cruento in un crescendo di violenza, esplosa fragorosamente nelle scene del motel e dell'ascensore - dove ancora una volta Refn lavora persuadendo con l'ausilio del suono, lasciando solo immaginare al pubblico la ferocia assassina. In quest'ultima sequenza c'è una sintesi del film: Driver è intrappolato nella cabina insieme a Irene e ad un killer con il colpo in canna; il tempo si dilata, c'è un bacio appassionato mentre il cavaliere-pilota fa scudo con il corpo e scocca il primo di una serie di brutali fendenti raggiungendo un climax imperioso.
Proprio la doppia personalità rappresenta l'aspetto più interessante dell'uomo; fa emergere il contrasto tra il quieto ragazzo che si sporca le mani in officina per pochi dollari e la furia nervosa di uno psicopatico che in alcuni momenti non sfigurerebbe al cospetto dello schizzato protagonista di "Taxi Driver". Il regista sembra voler tratteggiare il profilo di un nuovo supereroe metropolitano, un oscuro giustiziere buono che invece del mantello indossa come in un rituale guanti da guida e giubbotto stampato con uno scorpione. Animale amante degli angoli bui e predatore di topi (di fogna), dettaglio iconografico su cui indugiano allusivamente le inquadrature.
Riprese dinamiche che proiettano emotivamente lo spettatore dentro la storia e lo deliziano con angolazioni che vanno a creare sorprendenti composizioni visive e con altri brillanti movimenti di macchina, oltre all'uso quasi straniante del montaggio ritmico e del ralenti a modellare un linguaggio filmico poderoso e in sincrono con le trascinanti musiche di Cliff Martinez.
Gosling/Driver, stunt di se stesso (emblamatico il momento in cui indossa per la seconda volta la maschera), è impassibile nella sua faccia imbalsamata da giocatore di poker; di rado regala un sorriso e si esprime attraverso codici non verbali come il gesto ripetuto - spia di un pieno di aggressività - dello stringere i pugni. La sua recitazione è notevole tanto quanto quella dei comprimari, su cui spiccano i due cattivi: uno spietato e sarcastico ("ho le mani sporche anch'io", "dai una pulita in giro prima di aprire la pizzeria") Brooks e un Perlman sopra le righe che deve ringraziare (?) madre natura per avergli fornito un volto da perfetto figlio di puttana.
Le caratteristiche della vicenda (lo sviluppo della furia dell'individuo difronte al pericolo, la storia d'amore, la rapina finita male) non sono originali ma Refn slalomeggia con una certa maestria tra gli ostacoli del déjà vuconcentrando la camera sulla contrapposizione mitezza vs. aggressività dell'imperturbabile e imprendibile (Walter Hill docet) "driver". La forza universale del film sta nel suo essere contemporaneo, nella capacità del regista di offrire un trattamento coinvolgente (le panoramiche sullo sfondo tentacolare di LA, l'uso puntuale della colonna sonora, il graphic design dei titoli), nel rivisitare con personalità l'ordinario script di partenza facendone un piccolo, cupo manifesto urbano di ultima generazione.