Il regista svedese Mikael Håfström è convinto che il rito dell'esorcismo  susciti in tutti noi grande fascino e smodato interesse. Quando la  produzione gli ha affidato la macchina da presa, è stato rapito  dall'idea di esplorare l'argomento proponendo il mistero, la tensione e  la violenza propri di questo tema. L'assunto di partenza è discutibile,  ma è pur vero che un cult robustissimo come "L'esorcista" ha lo stesso impianto inquietante. Ispirato  a storie vere e al libro omonimo del cronista Matt Baglio, "Il Rito"  parte con il piede giusto mostrando Michael Kovak (l'esordiente Colin  O'Donoghue) intento a maneggiare cadaveri insieme al ruvido padre Istvan  (Rutger Hauer). Sono solo cinque effimeri e illusori minuti che cedono  subito il passo a un tourbillon di noia: Michael sceglie la  missione religiosa per sfuggire all'impresa di pompe funebri di  famiglia; al termine del periodo di studi presso il collegio  ecclesiastico, quando decide di rinunciare alla carriera clericale, un  incidente tanto tragico quanto pretestuoso gli farà cambiare idea e lo  porterà in Vaticano a prendere lezioni di esorcismo. In una Roma  esasperatamente chiassosa e burina il giovane seminarista - scettico  circa la veridicità degli eventi soprannaturali - entra in contatto con  il controverso Padre Lucas (Anthony Hopkins), una specie di leggenda  dell'insolito settore con migliaia di demoni allontanati in carriera.  Come prevedibile, Michael si ravvedrà entrando in contatto diretto con  gli spiriti maligni e il rapporto con il sacerdote-maestro si evolverà  in un crescendo di terrificanti rituali, talmente poco riusciti da  provocare qualche ilarità. Le riflessioni più interessanti  abbozzate dal regista sulla presunta esistenza di un Diavolo rimangono  in superficie, nell'iniziale resistenza che oppone il seminarista  invitando i suoi superiori a rivolgersi alla psichiatria per curare i  "posseduti" e per mezzo dei ripetuti flashback che portano  Michael indietro nel tempo, alla sua infanzia tormentata scandita dal  rapporto complesso di odio-amore con il becchino interpretato da Hauer.  Il fuoriclasse Hopkins tenta velleitariamente di tenere in piedi un  baraccone che con il susseguirsi delle sequenze sprofonda alternando  colpi di scena dozzinali a una piatta messa in scena, passando per una  pseudo-storia d'amore tra il giovane Kovak e la reporter Angeline  impersonata da una sbiadita Alice Braga, comunque dignitosa al cospetto  del legnoso e scialbo Colin O'Donoghue. Una bolsa variazione sul  tema che anestetizza ogni emozione e non riesce a mostrare  l'inquietudine del protagonista né a creare una decorosa atmosfera di  turbamento. A distanza siderale dal classico di William Friedkin; anche  meno tetro e spaventoso de "L'esorciccio" di Ingrassia.  Voto: 3