Voto: 5
sabato 9 aprile 2011
The Next Three Days di Paul Haggis
John Brennan (Russell Crowe) e sua moglie Lara (Elizabeth Banks) sono una coppia affiatata: si amano perdutamente e crescono un figlio che adorano. Un giorno la donna viene arrestata e poi condannata per omicidio (aggressione violenta per futili motivi); John è sicuro della sua innocenza e inizia a battersi per dimostrarlo. Le prove, però, sembrerebbero schiaccianti e dopo tre anni la Corte Suprema respinge l’ultimo appello. Che cosa fare? Continuare a lottare forse velleitariamente o rassegnarsi all’idea di perdere per sempre la persona che ami? Oppure si potrebbe organizzare un’evasione! È quello che decide di fare l’uomo: architettare un complicato progetto di fuga famigliare. Ed è così che un tranquillo professore d’inglese si trasforma in un criminale. Il mutamento avviene tra ricerche in Rete, letture (s)consigliate e l’incontro con un ex-detenuto (Liam Neeson, in una piccola parte) che lo illumina con i suoi sapienti consigli. L’ideatore e il regista di questo rifacimento del francese “Pour Elle” è Paul Haggis, già acclamato per i due Oscar in successione per le sceneggiature di “Million Dollar Baby” e “Crash – Contatto Fisico” (da lui anche diretto e vincitore del premio come Miglior Film), oltre ad aver scritto con successo anche “Lettere da Iwo Jima” e “Casino Royale”. In “The Next Three Days”, un thriller concitato con buona tensione e un montaggio dal ritmo serrato, il problema – paradossalmente – è proprio nella sceneggiatura. Lo spunto di partenza non è definito e articolato con incisività, il trattamento non appare né coerente né approfondito adeguatamente. Il risultato è una storia che si mostra reboante in ogni sequenza, carica di eccessi e dettagli superflui. Un uomo, John, che si aggira nelle strade di Pittsburgh alla ricerca di soldi come un bandito consumato, sua moglie imperturbabile nonostante gli eventi, la polizia rappresentata macchiettisticamente, la presenza di Olivia Wilde nel ruolo di un’affascinante mamma e, soprattutto, la didascalica risoluzione finale, davvero assai pedante e forzata. Certamente in alcune situazioni sarebbe meglio lasciare allo spettatore qualche dubbio e interrogativo, piuttosto che congedarlo consegnando lui il libretto di istruzioni (nel caso specifico, più simile a quello dell’Uovo Kinder rispetto ai famigerati opuscoli Ikea). Tutto ciò ridimensiona la riflessione dell’autore sul concetto di fiducia e ovatta l’interesse riguardo al valore e al significato assoluto della parola data da qualcuno che amiamo che invece avrebbe potuto detenere un ruolo centrale. Ne rimane un film con una regia intensa e spettacolare, affascinante per alcuni aspetti, intimamente recitato da Russell Crowe, ma smaccatamente eclatante e poco plausibile.