giovedì 14 ottobre 2010

Gorbaciof di Stefano Incerti

Chi è meridionale lo sa bene: affibbiare gli pseudonimi è sport nazionale. Quando poi vivi in una città folcloristica come Napoli e ti ritrovi un’appariscente voglia appiccicata proprio sulla fronte, puoi stare certo che il tuo nome si trasformerà in “Gorbaciof” (evidentemente, un adattamento dialettale del cognome del celebre leader dell’Unione Sovietica). Il protagonista del sesto lungometraggio del regista napoletano Stefano Incerti è il contabile del carcere di Poggioreale, all’anagrafe Marino Pacileo (Toni Servillo), un uomo taciturno, disonesto, viscido e - a modo suo - sensibile. Durante il lavoro è solito rubare qualche soldo dalla cassaforte da utilizzare a un variopinto e losco tavolo da gioco allestito nel retro di un ristorante cinese, di cui fanno regolarmente parte tra gli altri un noto avvocato e il proprietario dello stesso esercizio orientale, padre della bella Lila (Mi Yang), per la quale Pacileo nutre un forte interesse sentimentale. L’aspirante suocero s’indebita con il poker e, per evitare conseguenze ancor più disgraziate, Gorbaciof intensifica i prelievi fuorilegge alla cassa del carcere e tampona con il contante la piaga sociale della famiglia cinese. Anche per lui, però, le carte non girano e si ritrova invischiato in traffici di tangenti e rapine. Come spesso accade a Servillo nelle interpretazioni per Paolo Sorrentino, il personaggio principale del film gli viene cucito addosso; la macchina da presa lo tallona silenziosa in stile documentaristico e ne traccia un ritratto in cui emergono le smorfie e l’andamento smargiasso, tipici di chi è abituato a vivere per strada. Rispetto a “Le conseguenze dell'amore” o “Il Divo”, dove l'ottimo Toni poteva brillare grazie anche a una sceneggiatura appassionante, in “Gorbaciof” ha giocato da solista trainando una storia incolore e un cast – a cominciare dalla protagonista femminile – abbastanza piatto. Tuttavia, Incerti è ammirevole nel suo tentativo (riuscito) di raccontare gli eventi in forma originale risparmiando i dialoghi e privilegiando le immagini, segnate efficacemente dalle musiche originali di Teho Teardo (Il Divo) e montate dal solido Marco Spoletini (Gomorra). Con un finale graffiante avrebbe potuto rivelarsi anche una pellicola da raccomandare agli amanti del cinema acqua e sapone, ma sfortunatamente l'epilogo grottesco lo ridimensiona e lascia allo spettatore un retrogusto amaro, coerente con l'atmosfera del film ma meno con i favori del pubblico.

Voto: 5,5