« Triste orto abbandonato l’anima
si cinge di selvaggi siepi
di amori:
morire è questo
ricoprirsi di rovi
nati in noi »
(Antonia Pozzi, da Naufraghi)
Dopo l’interessante “Forza Cani” e il pluripremiato “Come l’ombra”, ecco il 3° film di Marina Spada: un mediometraggio di circa 50’ dedicato al personaggio di Antonia Pozzi, poetessa milanese morta suicida a soli 26 anni nel ’38.
La regista meneghina, partendo dalla Pozzi, tenta di ragionare sul ruolo dell’artista nella società dell’epoca e traccia un percorso tenero e malinconico sul mondo delle donne.
Il (quasi) documentario mostra diverse riprese 8mm inedite e delle belle fotografie d’annata che ritraggono Antonia nella sua vita (dis)agiata alto-borghese: le escursioni con la famiglia sul Cervino, le partite a tennis con gli amici, le frequenti gite nel lecchese a Pasturo (“il rifugio dell’anima”); ma, segno di un disagio verso il suo ambiente sociale, la poetessa invece preferisce la periferia drammatica di via dei Cinquecento a Piazzale Corvetto e il laghetto silenzioso di Porto di Mare.
Troppo vera per quel mondo di persone stereotipate, Antonia precipita interiormente sotto i colpi della depressione, affogando lentamente fino alla morte dentro i confini di una finta emancipazione e di un amore disonorevole per gli standard dei salotti di città.
Impulso al racconto e voce narrante del film è la cineasta Maria (Elena Ghiaurov), che si appassiona all’opera della Pozzi e decide di ricercare i luoghi e le persone della sua memoria; importante per lei sarà l’incontro con gli H5N1 (ceppo batterico scatenante dell’influenza aviaria), studenti universitari che invece del virus diffondono poesie incollandole sui muri della città.
Maria - alter ego della Spada - coinvolge i ragazzi nel suo progetto romantico: far rinascere la poesia di Antonia Pozzi a Milano e recuperarne il valore storico-letterario consegnandole quel riconoscimento e quella visibilità che le erano stati privati.
La regista crede fortemente che nelle nostre vite ci sia sempre più bisogno di poesia, e a giudicare dalle rime che attraversano la pellicola come darle torto: versi autentici, commoventi ed audaci quelli che scopriamo nel delizioso mediometraggio.
Spada fa convivere con grande armonia visioni e poesia, e ai ritratti sfocati dell’epoca abbina e interseca - come nel suo stile - le immagini rubate alla metropoli ambrosiana e ci fa esplorare fugacemente con la sua macchina da presa degli angoli storici: da Piazza del Duomo al Naviglio Grande, dal Castello Sforzesco a Piazza XXIV Maggio.
Le liriche vengono scandite dalle musiche (chitarra e viola, protagonisti) originali di Tommaso Leddi: sobrie e pertinenti al contesto, conferiscono fluidità alla narrazione; mentre la fotografia, un po’ sporca, è adeguata al duplice racconto urbano e convince abbastanza.
“Poesia che mi guardi” è un film morbido e sensibile su un grande talento della letteratura e sulla potenza espressiva della poesia, ma soprattutto un omaggio alle donne e alla città di Milano; pur con qualche imperfezione e caratterizzato da una durata ridotta (forse una debolezza, considerate le esigenze di pubblico e distributori), è un’opera originale e genuina dal quale emerge intenso l’impegno delle regista e che svela un cinema italiano coraggioso.
voto 6,5