Le espressioni "autore indigesto" e "un film non per tutti" sembrano coniate appositamente per il cinema del quarantenne Apichatpong Weerasethakul (che qualcuno ha saggiamente ribattezzato solo come "Joe"), regista, sceneggiatore e produttore thailandese di Bangkok fresco vincitore della prestigiosa Palma d'oro all'ultimo Festival di Cannes.
Questo artista, che alcuni addetti ai lavori definirono "scienziato cinematografico pazzo" all'epoca delle sue prime apparizioni europee, è nel bene e nel male unico nel suo genere. Già: di che genere stiamo parlando? Ad esempio, il suo ultimo, palmato Uncle Boonmee Who Can Recall His Past Lives annunciato come "commedia fantastica" rappresenta quasi un'esperienza mistica, tra lo sperimentale e il documentario. Inclassificabile e fuori da ogni convenzione filmica.
È la storia di zio Boonmee, malato terminale che decide di andare a trascorrere i suoi ultimi giorni nella quiete della casa di campagna; una realtà illusoria cede il passo improvvisamente alla fantasia poiché si materializzano il fantasma di sua moglie e il figlio scomparso diventato uno scimmione dagli occhi rossi fluorescenti.
Un viaggio in un mondo misterioso e surreale alla ricerca di una verità ultraterrena, tra parabole di vita nascoste, scene potenti e discutibili (il rapporto sessuale tra il pesce gatto e la principessa!) e una visione panteistica che appare ineluttabile.
Una pellicola a dir poco complessa e ambiziosa, che per svelare la propria vera essenza necessita di più proiezioni e riflessioni profonde. Troppo certamente per lo spettatore dallo sguardo disimpegnato, ma anche per il cinefilo incallito.
voto 6