lunedì 14 marzo 2011

Il Rito di Mikael Håfström

Il regista svedese Mikael Håfström è convinto che il rito dell'esorcismo susciti in tutti noi grande fascino e smodato interesse. Quando la produzione gli ha affidato la macchina da presa, è stato rapito dall'idea di esplorare l'argomento proponendo il mistero, la tensione e la violenza propri di questo tema. L'assunto di partenza è discutibile, ma è pur vero che un cult robustissimo come "L'esorcista" ha lo stesso impianto inquietante. Ispirato a storie vere e al libro omonimo del cronista Matt Baglio, "Il Rito" parte con il piede giusto mostrando Michael Kovak (l'esordiente Colin O'Donoghue) intento a maneggiare cadaveri insieme al ruvido padre Istvan (Rutger Hauer). Sono solo cinque effimeri e illusori minuti che cedono subito il passo a un tourbillon di noia: Michael sceglie la missione religiosa per sfuggire all'impresa di pompe funebri di famiglia; al termine del periodo di studi presso il collegio ecclesiastico, quando decide di rinunciare alla carriera clericale, un incidente tanto tragico quanto pretestuoso gli farà cambiare idea e lo porterà in Vaticano a prendere lezioni di esorcismo. In una Roma esasperatamente chiassosa e burina il giovane seminarista - scettico circa la veridicità degli eventi soprannaturali - entra in contatto con il controverso Padre Lucas (Anthony Hopkins), una specie di leggenda dell'insolito settore con migliaia di demoni allontanati in carriera. Come prevedibile, Michael si ravvedrà entrando in contatto diretto con gli spiriti maligni e il rapporto con il sacerdote-maestro si evolverà in un crescendo di terrificanti rituali, talmente poco riusciti da provocare qualche ilarità. Le riflessioni più interessanti abbozzate dal regista sulla presunta esistenza di un Diavolo rimangono in superficie, nell'iniziale resistenza che oppone il seminarista invitando i suoi superiori a rivolgersi alla psichiatria per curare i "posseduti" e per mezzo dei ripetuti flashback che portano Michael indietro nel tempo, alla sua infanzia tormentata scandita dal rapporto complesso di odio-amore con il becchino interpretato da Hauer. Il fuoriclasse Hopkins tenta velleitariamente di tenere in piedi un baraccone che con il susseguirsi delle sequenze sprofonda alternando colpi di scena dozzinali a una piatta messa in scena, passando per una pseudo-storia d'amore tra il giovane Kovak e la reporter Angeline impersonata da una sbiadita Alice Braga, comunque dignitosa al cospetto del legnoso e scialbo Colin O'Donoghue. Una bolsa variazione sul tema che anestetizza ogni emozione e non riesce a mostrare l'inquietudine del protagonista né a creare una decorosa atmosfera di turbamento. A distanza siderale dal classico di William Friedkin; anche meno tetro e spaventoso de "L'esorciccio" di Ingrassia.

Voto: 3